di Alessandra Ottieri.
«Innanzitutto
occorre sottolineare che Vito Rosario Ferrone non è un narratore esordiente, ma
uno scrittore talentuoso che ha già al suo attivo due romanzi, pubblicati da
Arduino Sacco Editore: Nucleo centrale
nel 2010 e Relatività centrale nel
2012. Se ancora non ha ottenuto il riconoscimento di pubblico (e di critica)
che merita è per una certa miopia del mondo editoriale italiano poco attento ai
nuovi talenti, e poco propenso a concedere spazio e fiducia a narratori esordienti
(sui quali è troppo rischioso scommettere…). Il romanzo Immobilità centrale che oggi presentiamo non è, dunque, l’opera
prima di Vito Ferrone, ma solo l’ultima in ordine di stampa, il terzo episodio
di una trilogia di romanzi che costituiscono una saga degna della migliore
tradizione del genere noir italiano.»
«In
secondo luogo, Vito Ferrone non è uno scrittore occasionale, né dobbiamo
pensare che la scrittura sia per lui un’attività secondaria rispetto a quella
principale di insegnante di chimica; la sua non è una passione coltivata
privatamente, quasi clandestinamente, a margine della più seria e “rispettabile”
attività di docente di scuola superiore. In realtà le “due anime” – quella del
narratore e quella dell’insegnante – convivono e si intrecciano profondamente,
generando un interessante passaggio di idee e stimoli da un “confine” all’altro.»
«I romanzi
di Ferrone sono tutti costruiti attorno ad un personaggio forte e ben
caratterizzato dall’autore – il Commissario Arcangelo Lombino, detto Lino – che
inevitabilmente si apparenta con altri commissari celebri della nostra più
recente narrativa “gialla”: l’ispettore Coliandro di Carlo Lucarelli, il Commissario
Montalbano di Andrea Camilleri, l’ispettore Lojacono di Maurizio De Giovanni.
Il richiamo a questi personaggi è imprescindibile ed immediato, il lettore è
potato subito a fare confronti, salvo poi, procedendo nella lettura, accorgersi
che Lombino è completamente diverso dagli altri due: Lombino vive e lavora a
Napoli, ma viene dalla provincia lucana, “dalla zolla”, come scrive l’autore,
ed è fiero di queste origini contadine; non è maldestro, quasi buffo, come il
bolognese Coliandro, ma neppure ha la sicurezza e il fiuto infallibile di
Montalbano... In comune con il commissario di Camilleri ha, semmai, la passione
per la buona tavola, ma nulla di più. Come Lojacono, Lombino lavora in un
commissariato di Napoli, ma non è napoletano; tuttavia, se il personaggio di De
Giovanni ha uno sguardo cinico, pessimista, sulla realtà, anche per il peso di
un passato difficile e ambiguo alle spalle, Lombino può mostrarsi al massimo deluso
o arrabbiato o scontroso, ma non è mai cinico perché mai viene meno in lui la fiducia
nelle possibilità della ragione e nella giustizia umana.»
«Lombino,
insomma, è un poliziotto vero e umanissimo con tutto il carico di difetti e
pregi che un poliziotto vero ha: è infaticabile e attivo sul lavoro, ma si
prende spesso delle lunghe pause di riflessione; è onesto, moralmente integro,
ma all’occorrenza non disdegna metodi e mezzi ai limiti della legalità pur di raggiungere
l’obiettivo; è burbero, schivo con colleghi e superiori, non ama gli slanci di
affetto del suo vice, Pasquale Maffettone, ma si preoccupa moltissimo per
l’amico e per i suoi uomini, quando sono in pericolo, e soffre con i familiari dei
suoi agenti se uno di loro muore; è un gran lavoratore, ma trova sempre il
tempo per un buon caffè preparato dalla ineffabile cameriera Carmelina o per
una cenetta in compagnia della fidanzata (e poi moglie) Margherita Scarfoglio.»
«E
qui veniamo ad un altro grande pregio dei romanzi di Vito: la presenza, accanto
al protagonista, di altri figure che è riduttivo chiamare secondarie, perché le
loro vite, le loro azioni e parole si intrecciano e fanno tutt’uno con le azioni
del protagonista. Attorno a Lombino c’è un mondo brulicante di personaggi
napoletanissimi, ma non stereotipati, disegnati con estrema cura e attenzione
per i dettagli, e ai quali non possiamo non affezionarci: c’è Carmelina, che
stira le camicie alla perfezione; ci sono il vice-commissario Pasquale Maffettone
e sua sorella Rosaria, amici carissimi di Lombino; gli agenti del commissariato;
l’informatore di polizia Per’ e palummo;
e soprattutto c’è la fidanzata Margherita, splendida donna, posillipina doc,
proveniente da un mondo altoborghese lontano anni-luce da quello del
provinciale Lombino, ma che inspiegabilmente ha scelto proprio il commissario
per cominciare una nuova storia dopo un matrimonio fallito e due figli ai quali
ovviamente il commissario è affezionatissimo.»
«In
questo quadro frastagliato, colmo di personaggi che si muovono nei luoghi noti
della città tra il centro storico, la periferia e la collina di Posillipo, si aggira
il commissario alla risoluzione di casi difficili di omicidio legati
all’ambiente della camorra, tra traffico di droga, riciclaggio di denaro sporco
e affari illeciti di ogni genere»
«Ma
come risolve i suoi casi il Commissario? Qual è la sua arma vincente? Qual è il
segreto delle sue intuizioni che lo fanno arrivare prima degli altri alla
soluzione dei casi che gli si prospettano? Una persona, che forse senza neppure
averne consapevolezza, aiuta il commissario a mettersi sulla pista giusta è
Carmelina, la simpatica e affezionata tata, popolana a suo modo giudiziosa,
piena di buon senso, di una semplicità ostinata e disarmante, eppure acuta
nelle sue schiette e spesso sgrammaticate osservazioni. E naturalmente c’è Margherita,
donna e magistrato, dotata di grande
intelligenza, di estrema concretezza e serietà, è lei che induce Lombino ad attenersi
alla logica dei fatti, a non divagare; perché, ebbene sì, a Lombino piace
tantissimo divagare, abbandonarsi a lunghissime riflessioni che per la verità solo
apparentemente lo distraggono dalle indagini, ma che invece lo aiutano a
schiudere prospettive diverse, a vedere le cose da angolazioni prospettiche
inedite. La fisica quantistica, la teoria dei quark, la teoria della relatività
di Einstein vengono in soccorso al commissario; proprio quando le indagini
appaiono in un vicolo cieco e Lombino non sa come procedere… è proprio allora
che un postulato scientifico, una legge fisica, una formula sembrano schiudere
orizzonti inattesi…»
«Ma veniamo
all’ultimo romanzo pubblicato. Con Immobilità
centrale l’autore ci spiazza e per più di un motivo. A cominciare dalla
bellissima copertina. Se quelle dei due libri precedenti raffiguravano vedute
emblematiche della città di Napoli, quest’ultima raffigura un albero spoglio,
dalle radici profonde ben conficcate nel terreno e i rami nudi protesi verso il
cielo, tutt’attorno terra e nuvole: in quell’albero solitario non si può non
leggere una metafora del commissario che, da un lato, ha i piedi ben piantati
per terra, ha il pudore, la solidità e la concretezza dell’uomo lucano,
dall’altro, ha una irrinunciabile attitudine al “volo” non può fare a meno di
innalzarsi, almeno col pensiero, con la speculazione scientifica, al di sopra
delle miserie e piccole meschinità della vita quotidiana.»
«In Immobilità centrale, Lombino e Margherita
sono in vacanza in Lucania, con i figli di lei, presso la casa materna del
commissario; i personaggi che fanno da comprimari alle azioni del protagonista
non sono più gli agenti del commissariato, i colleghi, i camorristi, gli
informatori, i fratelli Maffettone e la cameriera Carmelina, e tutta la varia
umanità della città di Napoli. In questo romanzo Lombino torna alle origini e
ritrova i cosiddetti “paesani”, gli amici d’infanzia, i compari e le comari, i
padrini e le madrine, e le mille voci di un paese lucano la cui cifra
caratteristica è appunto l’immobilità indicata nel titolo: la madre, i parenti,
i paesani appartengono a un mondo che è ancorato alle proprie convinzioni
morali ed etiche, nelle quali il commissario si riconosce, ma che fatica,
talvolta, ad emanciparsi da atavici pregiudizi e piccole ipocrisie che da sempre
ne fanno parte.»
«Un mondo,
quello lucano, dove la lentezza dei ritmi di vita è associata con la resistenza
dei valori tradizionali (innanzitutto l’onestà e la dignità), con la genuinità
e semplicità dei sentimenti e degli affetti, rimasti intatti e puri. Nonostante
la lontananza e il tempo remino contro, Lombino ritrova in terra lucana i
parenti e soprattutto gli amici dell’infanzia, sempre disponibili ad
accoglierlo e a preparare per lui deliziose cene ricche di pietanze della
tradizione.»
«Straordinaria
è la figura della madre, severa negli sguardi, decisa nelle azioni, di poche
parole con il figlio, ma pronta ad accettare Margherita (nonostante sia una
donna “di città” e per giunta separata) e soprattutto pronta ad aprirsi e a
diventare dolcissima con i suoi due figli…la madre di Lombino diventa quindi
una “nonna” speciale pronta a far conoscere ai due nipoti acquisiti le
meraviglie del bosco e della vita libera dei ragazzi “di campagna”. »
«Anche
in questa terra lontana, dove la vita scorre tranquilla e praticamente uguale,
Lombino si trova a dover affrontare un delicato caso da risolvere: dapprima deve
indagare su un banale furto di bestiame, ma dopo poco la vicenda si complica
per la morte violenta di due giovani. Come al solito i colpevoli saranno
scoperti e assicurati alla giustizia, ma stavolta a Lombino resterà l’amaro in
bocca e il commissario non proverà nessuna soddisfazione professionale per la
risoluzione del caso perché ad essere coinvolti sono i paesani, gli amici, le
persone care. La situazione diventa presto sgradevole, pesante e allora a Lombino
non resta che cercare consolazione, quasi una via di fuga, nella speculazione
scientifica.»
«Stavolta
ad interessarlo non è una teoria scientifica, ma il processo nei confronti di
Galileo Galilei che, ignorando le raccomandazioni del papa, si ostina a
presentare il sistema copernicano come unico sistema scientificamente corretto,
pur non avendone sicure prove sperimentali. Lombino ripercorre le fasi salienti
del processo, conclusosi con l’abiura dello scienziato, e si interroga
sull’atteggiamento di Galileo e dei cardinali, fa ipotesi e deduzioni, trovando
in questo nuovo argomento di riflessione non tanto uno spiraglio alla
risoluzione del caso, come in Nucleo
Centrale e in Relatività centrale,
quanto una valvola di sfogo, un varco per un altro mondo, senz’altro più
razionale, dove rifugiarsi, “distrarsi”…in attesa di ripartire, sempre in
compagnia di Margherita.»
«Lo
stile di Ferrone è piano, con una punteggiatura ricca che ci induce a sostare
sulle singole frasi, a rimeditarle, per seguire con attenzione i percorsi
mentali del commissario. La scrittura si dipana attraverso un doppio registro:
da un lato le azioni e le parole del protagonista, dall’altro i suoi pensieri
sottolineati dall’uso del corsivo. Ferrone fa parlare Lombino in un certo modo,
con cautela e moderazione, ma allo stesso tempo ne scopre i pensieri veri e li
sottolinea con il corsivo: dal contrasto tra parole e pensieri, detto e non
detto, vengono fuori scene davvero esilaranti, soprattutto quando
l’interlocutrice è Margherita…con la quale non è facile misurarsi, ed anzi è
difficile per il commissario non commettere errori e gaffes.»
«Sappiamo
che un quarto capitolo della saga di Lombino/Ferrone è già pronto per la stampa
(Assenza centrale) ed un quinto è in
lavorazione…poi, come ha annunciato l’autore, Lombino “sparirà” per cedere il
posto ad un nuovo personaggio (forse meno auto-referenziale) che, ne siamo
convinti, ci appassionerà quanto, se non di più, del nostro commissario».