giovedì 16 aprile 2015

Appunti della presentazione di Alessandra Ottieri presso la Libreria Ubik di Napoli



Vito R. Ferrone, Assenza centrale, Youcanprint, 2014



“Lo scorso anno, dovendo presentare Immobilità centrale, il penultimo romanzo di Vito Ferrone, ho cominciato parlando dell’autore. E anche stavolta mi piace sottolineare che Vito non è uno scrittore esordiente e neppure occasionale: ha cominciato a pubblicare nel 2011 con cadenza quasi regolare e, ad oggi, è autore di ben 4 romanzi noir (Nucleo centrale, Relatività centrale, Immobilità centrale, Assenza centrale), un quinto è già in fase di bozze e un sesto in preparazione... Quindi possiamo dire che Vito non è una “promessa” della narrativa noir contemporanea, ma una “certezza” e speriamo che il numero dei lettori, nonostante le mille difficoltà a pubblicare, aumenti nel tempo e superi la cerchia degli amici e colleghi; insomma auguriamo a Ferrone una sempre maggiore visibilità, che merita senz’altro.”

“Nel definire il personaggio del commissario Lombino, protagonista di questa saga noir giunta al suo quarto episodio, ho tentato lo scorso anno di delinearne le caratteristiche umane e morali, di disegnarne la personalità, ribadendo la distanza tra questo commissario - che è un personaggio originalissimo, dinamico, in costante evoluzione, e che nel frattempo è divenuto vice-questore - e gli altri commissari e ispettori famosi della narrativa noir italiana, da Montalbano a Coliandro a Lojacono.”

“Qui mi limito a ribadire il dualismo di questo personaggio che ha una doppia anima, è un mix perfetto di concretezza e astrazione, ragione e intuizione: da un lato Lombino è saldamente ancorato a terra (per via delle solide origini contadine, lucane), è un epicureo doc, amante della buona tavola, delle belle donne e naturalmente del caffè, quello buono. E’ immerso nelle problematiche di tutti i giorni, alle prese con ogni forma di delinquenza, di degrado, di violenza in una città come Napoli, dove tutto è più complicato che altrove. Dall’altro lato, però, il commissario Lombino non può fare a meno di proiettarsi verso l’alto, verso i massimi sistemi, ama la fisica, ha bisogno della speculazione filosofico-scientifica come del pane (o del caffè).”

“La fisica ha, poi, nei romanzi di Vito una doppia funzione: serve a Lombino come via di fuga, valvola di sfogo (gli “ripulisce la mente dalle nefandezze di tutti i giorni”, p. 70) o gli viene in soccorso per sciogliere nodi intricati, per giungere alla soluzione di casi complicati e apparentemente senza via d’uscita (p. 162). Lombino, nel condurre le sue indagini disdegna l’uso della tecnologia (la prova del DNA, la scena del crimine, il luminol), la chimica non serve ad interpretare il “fattore umano”, invece la “fisica e dintorni” sì, perché “pretende intelligenza e acume” e “con umiltà, rigore, creatività, immaginazione” può venire in soccorso dell’investigatore (quello classico alla Marlowe o Maigret, non quelli alla CSI).”

“Solo con l’esercizio della ragione e una buona dose d’intuito - e non analizzando impronte, vetrini e provette - è possibile penetrare il fattore umano, un fattore ineludibile che agisce alla base di ogni azione delittuosa; “per investigare ci vogliono gli investigatori”, scrive Ferrone a p. 162, e in questa frase in apparenza banale è in realtà condensato il metodo investigativo di Lombino. Egli ironizza sulla figura classica del “bravo investigatore” “che tutto vede, che tutto sa, tutto capisce e tutto risolve” (p. 150): Lombino nasce sbirro e resta sbirro anche nel nuovo ruolo di vice-questore e poiché è un bravo sbirro, che cerca di capire le cose, è condannato a restare solo (come confessa con amarezza a p. 172).”

“Nei primi romanzi Lombino è un commissario attivo nel centro storico della città, che indaga su omicidi di camorra, traffici loschi e riciclaggio di denaro sporco; in questo romanzo è vice-questore e deve occuparsi di questione di ordine pubblico, ma Lombino resta sempre fedele a se stesso e al proprio metodo, resta sbirro e per questo non può non scontrarsi con il questore che lo considera forse troppo anarchico e sbrigativo nei modi per ricoprire questo ruolo e gli preferisce il più docile e diplomatico dott. Cimmino.”

“Lombino risolve le questioni di ordine pubblico a modo suo (sia quando si tratta di evitare scontri tra opposte tifoserie allo Stadio San Paolo, sia quando si tratta di bloccare un corteo non autorizzato organizzato dai ragazzi dei centri sociali). Lombino non applica strategie calate dall’alto, (che potrebbero portare a scontri violenti), ma si guarda attorno, cerca soluzioni di compromesso; dinanzi a orde di manifestanti esasperati (e a Napoli ce ne sono ogni giorno, per i più disparati motivi), agisce da stratega, sfrutta la sua capacità di penetrare il fattore umano, gioca d’astuzia e riesce sempre ad evitare il peggio.”

“Non ci sono più attorno a lui i personaggi che avevamo incontrato nei primi due romanzi, personaggi positivi e negativi, amici, agenti, informatori di polizia, camorristi, ai quali ci eravamo affezionati: il vice-commissario Maffettone fa solo una breve apparizione, sua sorella Rosaria (amica di Lombino, studentessa e pallanuotista) è assente, gli agenti del commissariato sono assenti, e tra tutti Lombino sente la mancanza di Giulio Giuliani che gli preparava sempre un ottimo caffè (ora deve ripiegare al bar o servirsi di un orrenda macchinetta piazzata nell’ufficio). Ma soprattutto è assente il Pubblico Ministero Margherita Scarfoglio (prima fidanzata e poi moglie di Lombino, impegnata in un’indagine in Spagna) e anche i figli di lei sono assenti (in Inghilterra dal padre). Lombino stavolta è solo: solo con se stesso, con la fisica. D’altro canto il titolo di questo romanzo allude proprio ad una serie di “assenze” e soprattutto ad una di queste assenze sulla quale si esercita la riflessione di Lombino: quella di Ettore Majorana, il genio della fisica, il più grande tra quelli del gruppo di via Panisperna che diedero inizio all’era atomica, sulla cui misteriosa sparizione gli studiosi ancora si interrogano.”

“A compensare le molte assenze, ci sono però nuove presenze in questo romanzo, soprattutto personaggi femminili dei quali Vito ci dà degli splendidi ritratti. Innanzitutto la Sig.ra Clotilde, non bella, attenta e silenziosa, un’assistente invisibile ed efficiente, bravissima nel districare le questioni burocratiche e nello scrivere verbali, ma con un handicap enorme: non sa fare il caffè (p. 96): con lei i rapporti sono inizialmente difficili, ma poi scatterà una forma di rispetto reciproco e anche una punta di affetto; c’è poi la Dott.ssa Errico, medico legale, bella e intelligente, che darà il suo contributo alla risoluzione del caso. Una vecchia conoscenza è Carmelina, la fidatissima e invadente cameriera tuttofare, personaggio umanissimo e divertente che ricompare anche in questo romanzo in una veste inedita: ha un corteggiatore e il povero Lombino sarà costretto a gestire la cosa e ad aiutare la donna anche nella scelta della biancheria intima da acquistare per il fatidico primo incontro. E anche questa circostanza in apparenza divertente quanto innocua sarà invece utilissima per la risoluzione del caso…”

“Ma qual è il nuovo intricatissimo caso che l’ex commissario, attuale vice-questore, deve affrontare in questo romanzo? C’è di mezzo una donna: Rebecca Modigliani, altra straordinaria presenza/assenza femminile: è lei la vittima del un brutale assassinio sul quale Lombino si troverà ad indagare. Rebecca è assente perché è morta, ma la sua presenza è forte nel romanzo, una presenza ricostruita a posteriori; la sua amicizia amorosa con Lombino emerge lentamente, pagina dopo pagina, attraverso una serie di tasselli della memoria che si incastrano come in un mosaico. Il corpo di Rebecca viene ritrovato in un appartamento del Vomero, nudo e oltraggiato con un misterioso oggetto tribale. Rebecca è stata uccisa forse per vendetta, forse per gelosia o per disprezzo; fino alle ultime pagine il lettore è spiazzato, non riesce a venirne a capo, la vicenda è molto intricata: si intrecciano vari elementi e vari moventi: sarà stato un amante (in seguito ad un gioco erotico finito male); sarà stato il marito? Tradito da Rebecca, ma che a sua volta la tradiva? Gli altri sono portati subito a questa deduzione, la più semplice e banale...Lombino ovviamente no, vuole andare a fondo nella vicenda e sbrogliare la matassa.

“Ma perché Lombino torna a fare lo sbirro e a indagare su un delitto? Non doveva occuparsi di ordine pubblico? Lombino è dentro fino al collo in questa brutta storia perché Rebecca è stato il suo grande amore, un amore solo in parte corrisposto, che ha agito come un veleno potente nel suo animo, lasciando diverse cicatrici: “Rebecca imperversava. Con perversione leggiadra”, scrive Ferrone ad un certo punto con un’espressione bellissima allitterante che sembra quasi un verso barbaro (settenario+ottonario): un verso che racchiude tutto il senso di questa storia d’amore, mai dimenticata, solo lasciata ­– scrive ancora Vito ­­– ‘in un posto lontano, molto lontano dal cuore’.”

“Lì sarebbe dovuta rimanere questa storia, se non fosse che un vecchio amico, il commissario Peppe Di Lorenzo, responsabile delle indagini, a conoscenza di questa vicenda amorosa, non può fare a meno di contattare Lombino e chiedergli di collaborare alle indagini: la sua conoscenza della psicologia della donna potrà aiutare a chiarire i molti lati oscuri di questo efferato omicidio. Eros, omosessualità, psicologia femminile, sono i nuovi ingredienti di questo romanzo e Lombino darà prova di sapersi muovere anche in questo strano labirinto fatto di passioni e istinti con la stessa disinvoltura con la quale si era mosso nell’ambiente della malavita organizzata. Anche stavolta non si fermerà alla superficie delle cose, ma scaverà in tutte le direzioni, riaprirà la propria ferita d’amore, farà affiorare i ricordi, ascolterà parenti e amici della donna sempre alla ricerca di quel fattore umano, che solo può spiegare il movente e la dinamica dell’assassinio.”

“E poi c’è la fisica. C’è Majorana con le sue geniali intuizioni, con le sue stravaganze, e con il mistero della sua scomparsa, sulla quale nel 1975 si era interrogato Leonardo Sciascia in un memorabile romanzo. Vito abbraccia la tesi di Sciascia e, come lo scrittore siciliano, ritiene che Majorana abbia progettato la propria scomparsa, l’abbia programmata ad arte per non essere corresponsabile del disastro che sarebbe scaturito dagli sviluppi delle proprie ricerche sull’atomica: non un suicidio o una banale fuga, dunque, quella di Majorana (che nel 1938 si imbarcò su un traghetto diretto a Palermo, ma poi non diede più notizie di sé), ma una sparizione programmata, che per Vito equivale ad una “piena assunzione di responsabilità”: Majorana sapeva cos’era stato scoperto a Via Panisperna, sapeva quali sarebbero state le conseguenze e non voleva esserci: sapeva di non poter fermare la ricerca sull’energia nucleare, ma non voleva essere lui a mettere la firma sotto l’olocausto atomico. Meglio morire o sparire, piuttosto.”

“Nel finale del romanzo, nel momento clou del disvelamento del colpevole anche Lombino in qualche modo fugge, si sottrae al proprio dovere, anzi vorrebbe una sparizione alla Majorana, cioè intesa come assunzione di responsabilità e non fuga dalle proprie responsabilità (ma non posso dire di più, perché dovrei svelare il finale del romanzo e non è possibile).”

“Concludo dicendo che, come al solito, Vito ha indovinato il titolo  (un romanzo costruito su assenze, reticenze e sparizioni non poteva avere altro titolo) e ha indovinato la copertina, ancora una volta in un elegantissimo bianco e nero, una spiaggia di sassi e un pontile che si proietta nel mare: assenza di figure, assenza di oggetti, assenza di coordinate spazio-temporali…”

Nessun commento: