Lo
ammetto, che devo fare?, così è. Il commissario Arcangelo Lombino ad oggi vice
questore con la precisa responsabilità, per delega si capisce, del mantenimento
dell’ordine pubblico in quel di Napoli, non tiene tanto genio di arrestare i
colpevoli. Che lui stesso infallibilmente, adesso non esageriamo, quasi, molto
quasi infallibilmente, scopre. Un casino!
Mettiamo
un poco di ordine. Innanzitutto quali colpevoli? Non certo i camorristi. Su
quello non ci sono perplessità. Oddio in Nucleo Centrale non è che è proprio
il colpevole camorrista a finire in galera, però che può fare il commissario?
Quell’altro, pure lui camorrista, si consegna con tanto di confessione
circostanziata. Consegna pure l’arma del delitto, la perizia balistica dubbi
non ne lascia, con le sue impronte. E non tiene uno straccio di alibi. Neanche
un’ombra di movente, se è per questo. Lombino lo capisce ma, ripeto, che può
fare? Arrestare chi secondo lui è il vero
colpevole? Ma come fai? Confidarsi, confrontarsi, fidarsi del pubblico
ministero più bello che il noir mondiale ricordi, la splendida e professionale
Scarfoglio dottoressa Margherita. Non era cosa. Si erano pure litigati.
Nientemeno che Lombino non se la scopava. Un fatto che gridava vendetta al
cospetto del padre eterno.
(Non
vorrei dire, ma poi Lombino se la tromba alla bella dottoressa, se la sposa e
da bravo commissario/vice questore del mio amatissimo sud la mette pure
incinta. Che sono tutte queste storie con tutti questi problemi? Uno convive
non convive; è fidanzato non è fidanzato; ci piace non ci piace; tengo
desiderio di te, ma Lucilla non è male - chi è Lucilla? Non lo so, mi piaceva
il nome. Un’altra te, diciamo - ; stare insieme porta all’abitudine eppure non
posso vivere senza di te, quindi me ne sto da solo. Ce ne stiamo da soli,
lontani. Come si fa a diventare padre? Quest’ultimo quesito mi fa impazzire. Ma
come investigatori che non vi dico, e non lo sanno? Lombino lo sa. E si dà da fare.
Margherita poi, anzi prima, è una gran fica. Quindi? Lo so già, quindi. Che
sono un autore rozzo. Uno lo sa coma si fa a diventare a padre, è la
responsabilità che ne deriva il problema. Primitivo. Di un autore. Sarà. Io
tanto tanto non ne sono convinto. Uomini di quel calibro, che si sono caricati
sulle loro spalle tutti i problemi del mondo dei vivi e in alcuni casi anche di
quello dei morti, che temono, hanno paura, della responsabilità di crescere un
figlio? Mah. Oltretutto scopano come ricci, nelle condizioni le più impossibili,
e mai una di loro che resti gravida. Boh.)
Insomma
in Nucleo,
Lombino, il colpevole, quello che tale si è dichiarato, lo arresta senza se e
senza ma. Come uno sbirro vero. Quale egli si sente. Ed è. E il vero colpevole?
Libero. Che razza di sbirro vero, che si sente ed è, questa specie di
commissario sarebbe? Non so che dire.
Lombino questo è. È capace di gesti, vogliamo dire alla Marlowe? È capace.
Arcangelo Lombino si prende responsabilità altre. Pagando di persona.
Lombino
i camorristi li manda in galera, senza requie, abbiamo detto. Gli altri non
proprio. Perché? Il primo problema di Lombino è che “giustizia” è una parola
che non suona bene né in bocca ad uno sbirro né tantomeno sulle labbra di un
magistrato, qualunque esso sia, pubblico ministero o giudicante. Già tiene il
commissario, ad oggi vicequestore, un problema grande come una casa con la
legge, figuriamoci con la giustizia. Per non parlare del carcere.
Partiamo
dal carcere. Lombino non crede che il carcere sia un luogo dove la gente diventa
migliore. Per il nostro commissario il carcere è un luogo di perdizione. Non
c’è nessuna reale efficacia della pena detentiva come rieducazione. Chi esce da
galera dopo aver scontato quello che aveva da scontare è mediamente peggiore di
quanto non lo fosse prima di uscire. Del reinserimento, poi, in un contesto
sociale degno non ne parliamo proprio, chiacchiere, chiacchiere, chiacchiere, e
ancora chiacchiere. Il carcere è un inferno, dove se uno non si suicida è
perché …. Non lo so, ma di sicuro bene non si trova. Troppo severo il giudizio
di Lombino? Troppo duro? Una società ha il diritto di difendersi, e per questo
che esistono le carceri. Lombino è d’accordo. Ma il problema lo tiene. Se uno,
quindi, ha ucciso per troppo amore, o per difendere chi ha amato e ama, o anche
per esagerata gelosia, o perché non poteva fare diversamente, perché se ciò che
altri hanno chiamato fattore umano in qualche modo e misura lo ha messo con le
spalle al muro, in quell’inferno di nome carcere bisogna mandarlo?
La
legge. La legge non è uguale per tutti. Lombino ne è convinto. In Relatività
Centrale Lombino spiega perché la legge non è, non lo è mai stata, e
sempre più non lo sarà, uguale per tutti. Se uno non vuole leggere Relatività,
secondo me sbaglia ma è un suo diritto, può, per farsi un’idea, pensare al
cataclisma di esperti che più esperti non si può che imperversano più o meno
baldanzosamente per i processi. Scusate, ce lo vogliamo chiedere quanto costano?
Loro e tutte le scene del crimine bidimensionali, tridimensionali e, persino,
tetradimensionali, che devono ricostruire (tetradimensionali non esiste, non è
possibile! Sarà, ma io per prudenza lo lascio.), tutti i percorsi che devono
percorrere e ripercorrere, tutte le analisi che devono essere fatte e rifatte,
tutte le psicologie che devono essere intraprese e portate a compimento. E voglio
fermarmi qui. Chi ce li ha tutti questi soldi? E come fa uno a difendersi se
l’accusa ha mezzi e potere illimitati?
Certo,
non è che Lombino non crede nella legge, ci crede. Il suo dovere lo fa. Quello
di sbirro. Mediamente lo fa, e lo fa anche bene. Però non è che è convinto che
il così detto rigore della legge vada bene sempre e comunque. Per i camorristi
non c’è problema, hanno un sacco di soldi. E poi a Lombino non stanno simpatici,
se vogliamo dire così, proprio per niente. Sopraffazione, violenza, crudeltà,
malvagità, ferocia, e ancora troppi
soldi! Ma gli altri? Tutti gli altri? Quasi vittime del loro fattore
umano? È un problema. (E i camorristi? Non tengono pure loro il fattore umano?
Sì e no. Forse donna Assunta Imperio, non so. E le colpe della società, delle
ingiustizie sociali, del lavoro che non c’è? Indubbiamente, ma quando è troppo
è troppo. E poi, l’ho detto, a Lombino
“il sistema” non piace proprio per niente, a lui piacciono le persone. Quelle
che soffrono, che si sacrificano, che amano, che odiano, e non per soldi o
sopraffazione, che si mettono totalmente in gioco, e non per un potere ottuso e
violento, che sanno andare oltre. Anche oltre ciò che la legge non riconosce.
Assunta Spina può insegnarci qualcosa?).
E siamo
arrivati alla giustizia. Per Lombino la giustizia è roba da maneggiare con
cautela. Anche se amministrata nel nome del popolo. Non c’è giustizia senza
verità. E la verità processuale è quella che è. In tribunale è vero ciò che
ragionevolmente puoi dimostrare. In un noir che si rispetti siamo border line.
Ciò che è accaduto è accaduto, ciò che è vero è vero. I tribunali vanno
rispettati e aiutati ma … c’è sempre un ma.
Se
proprio vogliamo il commissario ad oggi vicequestore Lombino fa propria,
coscientemente o anche no, la posizione di Dostoevskij, cioè che, in fondo, la
giustizia è una categoria divina.
Come è noto per Dostoevskij senza Dio non c’è verità. E senza verità non c’è
giustizia. Non è che Lombino sia Dostoevskij. Siamo tutti d’accordo credo,
anche perché da come riporta per iscritto le sue vicissitudini mi pare fin
troppo evidente. Ma non è neanche Montalbano tutto compito e convinto che
l’uomo basti a se stesso e, per ciò stesso, non dipende. Non è figlio. A
Salvuzzo nostro, e a tutti gli altri, la legge e la conseguente infallibile
giustizia, direi degli uomini, basta e avanza. E convince. È quasi una ragione
di vita. Non c’è nessuno al di sopra della legge, che se pure perfettibile, va
rispettata e ad essa vanno affidate in toto le nostre vite. Senza se e senza
ma. Lombino, invece, tiene sempre un sacco di dubbi (e anche qui, francamente,
non se ne poteva più di tutti questi commissari e affini che sono più
infallibili di Guglielmo Tell con una mela annurca, più decisi di Ulisse alle
prese con i proci, più convinti del professore Odifreddi quando deve parlare
male della chiesa, cioè sempre, più intelligenti di Einstein, più geniali di
Leonardo, più super di Superman), e sente con convinzione che la giustizia è
una cosa troppo seria per lasciarla in mano a dei tecnici del diritto. E si
arrangia a modo suo.
E poi
c’è il noir. Già ho detto ma conviene
ripeterlo. C’è nel noir come un di più. Un di più di sofferenza, un di più di compassione,
magari violenta (sic!), un di più di assunzione di responsabilità, un di più di
carica morale. Proprio così: carica morale. Ci vuole uno spessore morale
convincente per non arrestare chi bisogna arrestare. Secondo la legge e secondo
il proprio dovere. Qua sta il punto. Ma ci vuole anche una conoscenza di chi ti
sta di fronte, altrimenti non vai da nessuna parte. Lombino lo sa. Lombino
conosce chi gli sta di fronte. Conta e rischia sul fattore umano. Sul suo e su
quello dei colpevoli. Non c’è nessuna sociologia. Sto parlando di un’altra
cosa. I colpevoli sono colpevoli. E in qualche modo pagheranno perché la loro
umanità, il fattore umano, è tale che non riescono a farla franca. È in fondo
su questo che Lombino conta, senza nulla a pretendere. Intanto lui è pronto a
pagare. Tanto per dire, in Relatività paga, e duramente, le
conseguenze di una sua scelta.
In ultimo.
Ma insomma, Lombino si rende conto che non arrestare chi lui stesso individua
come colpevole è comunque un vulnus per il mestiere che fa? Vanno bene tutte le
motivazioni (forse), ma comunque sbirro è. Orgogliosamente sbirro, si ritiene.
Lombino lo sa che il problema ci sta. Il vulnus c’è. E con serietà, in Assenza
Centrale, pensa di lasciare. Confortato nella sua scelta da esempi
molto più autorevoli. In altri campi. Nella sua amata fisica, e dintorni, tanto
per non sbagliare. Vuole lasciare. E lo farebbe pure. Perché è uno serio. C’è stato
solo un problema: i pochi e affezionatissimi lettori non sono tanto d’accordo.
A loro sembra proprio che vada bene così.
Napoli, 5 maggio 2015
Vito R. Ferrone in
Lombino
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