“Napoli è Centrale” è il quinto romanzo della serie del commissario
Lombino e, nelle intenzioni dell’autore, sarebbe dovuto essere anche l’ultimo.
Quando lo scorso anno Vito ha dato il triste annuncio e ci ha detto che avrebbe
chiuso la serie noir di Lombino per
dar vita ad un nuova saga incentrata su un personaggio femminile, un po’ ci è
dispiaciuto.”
“Lombino è un personaggio
al quale ci si affeziona facilmente, forse perché riproduce molti tratti della
personalità e del carattere del suo autore, del quale è naturalmente un alter
ego; è uno sbirro dal cuore puro, un po’ burbero, ma anche sornione e molto
umano, addirittura tenero in certe circostanze; è ancora giovane
anagraficamente, ma legato ad un modo un po’ antico di fare il poliziotto; è
uno sbirro vecchio stile, che risolve casi complicatissimi, senza l’aiuto di
tecnologie sofisticate, ma solo con un fiuto infallibile e una grande capacità
di penetrare il ‘fattore umano’, di individuare i moventi profondi che spingono
gli individui ad agire (Marlowe e Maigret, sono i puntidi riferimento di Vito,
non di certo gli investigatori muscolosi e/o super-tecnologici delle serie TV
americane). Lombino è semplicemente un osservatore, un poliziotto che vuol
capire e soprattutto “sentire”, ovvero percepire la realtà con tutti i sensi,
ma anche con il cuore, con il cervello, con l’anima; vuole caparbiamente
entrare dentro la testa e dentro la coscienza di chi ha di fronte, penetrare
nel suo mondo, nella sua vita, nella sua mentalità (p. 154). E’ così, che il
nostro commissario può riuscire a decifrare gli indizi, i segnali che gli
occorrono per la risoluzione di un caso, anche del più intricato.”
“Comunque niente
paura. Vito non ha ancora ucciso (metaforicamente) la propria creatura, Lombino
è “vivo e vegeto” ed anzi lo ritroveremo anche nel prossimo romanzo che è in
preparazione: e non potrebbe essere altrimenti, considerato il finale di questo
romanzo, che naturalmente non vi racconto, ma che lascia l’amaro in bocca. Come
è scritto nella quarta di copertina “questa volta niente sarà come prima”,
qualcosa di sconvolgente accade nelle pagine finali, che sorprendono e commuovono,
e il lettore capisce che la storia di Lombino non può finire così,
qualcos’altro dovrà accadere, probabilmente di drammatico. Insomma, dobbiamo
prepararci ad un’altra storia e ad un’altra conclusione, quella che metterà
davvero la parola “fine” alla vicenda umana e professionale del nostro
commissario.”
“Ma partiamo dal
titolo. “Napoli è Centrale” per il commissario Lombino (in questo, come nei
precedenti romanzi della saga); essa costituisce lo sfondo imprescindibile di
tutti gli intrecci e di tutti i fatti di sangue sui quali il commissario è
chiamato a investigare, e la “napoletanità” (nella sua accezione migliore,
positiva) è una componente essenziale del suo carattere. Lombino non è
napoletano di nascita, ma ha scelto Napoli come sua città ed è diventato parte di essa, Napoli gli è entrata nel
cervello e nel cuore.”
“Ma quale Napoli? Le
strade, i quartieri, i monumenti e le chiese della nostra città suggeriscono la
presenza di almeno due volti: uno più potente, superbo, quasi arrogante,
l’altro più umile, semplice, rassegnato: sono queste, in fondo, le due anime
del popolo partenopeo e le due chiese del centro storico, il Gesù Nuovo e Santa
Chiara, poste quasi una di fronte all’altra, testimoniano appunto questo affascinante
dualismo (p. 122).”
“Napoli è innanzitutto
la città del cuore: quella della formazione professionale e della crescita
personale di Lombino, quella dei suoi affetti più cari, della sua donna MargheritaScarfoglio,
(prima fidanzata, poi moglie e ora in attesa di un figlio), pubblico ministero
in gamba, impegnata, in questo romanzo in un’indagine delicatissima e anche
piuttosto rischiosa. Napoli è la città degli amici veri, del vice-commissario Pasquale
Maffettone e della sua splendida sorella Rosaria, che ritorna a Napoli e nella
vita del commissario dopo un lungo periodo di assenza; è la città della tata Carmelina,
dell’agente Giuliani, della Dott.ssa Errico, della sig.ra Clotilde, di Ciro e Sasà,
titolari del bar ai Decumani dove Lombino è di casa: tutti personaggi positivi
che abbiamo conosciuto nei precedenti romanzi e che fanno parte del variopinto
mondo affettivo del commissario; nel loro insieme rappresentano la Napoli
“buona e simpatica”, popolare e borghese, la faccia pulita della nostra città,
fatta di persone che lavorano con serietà e dedizione, che ancora credono nei
valori familiari e che sono capaci di grandi slanci affettivi.”
“Ma c’è anche
un’altra Napoli, in questo romanzo, quella della disoccupazione feroce, delle
scuole che non funzionano, dei cittadini che protestano perché non vedono
riconosciuti neppure i più elementari diritti (salute, casa, istruzione, lavoro):
si sa che a Napoli non funziona niente, cortei e manifestazioni di piazza sono
all’ordine del giorno ed è con questa realtà che il vice-questore Lombino (ex
commissario) è costretto a misurarsi. Deve occuparsi di ordine pubblico, deve
fare i conti con una città in cui nulla funziona, e nulla è come dovrebbe
essere: operai licenziati che minacciano di buttarsi giù dai cornicioni dei
palazzi, studenti che occupano scuole che cadono a pezzi e dirigenti che non
sanno che pesci prendere. Ma il commissario non ne può più di tutto questo, (p.
94). E’ frustrante non poter risolvere queste problematiche: Lombino non ha
risposte da dare agli operai, agli studenti, ai presidi, ai disoccupati, meglio
stare “in prima linea” e affrontare omicidi e guerre tra clan… almeno in quei
casi un colpevole lo si può trovare, qualcuno da sbattere in galera.”
“Lombino vuole dunque
tornare ad affrontare la terza Napoli raccontata nel romanzo, quella più oscura
e malata, quella irredimibile: la città della malavita organizzata, delle
piazze di spaccio, della guerra tra clan camorristici, e in particolare tra i
Moffa e gli Imperio: vicende che abbiamo conosciuto nei romanzi precedenti e
che ora ritornano in questa storia perché, ahimè, il “passato ritorna”
attraverso due suicidi: quelli di Assunta Imperio e di Maddalena Ferrara -
rispettivamente madre e moglie del defunto boss Salvatore Imperio - entrambe
morte suicide, la prima in carcere, la seconda a casa sua, ed entrambe con
accanto un biglietto inquietante chiaramente indirizzato al nostro commissario
(p. 5).”
“Ecco i due casi,
chiaramente collegati tra di loro, sui quali Lombino dovrà stavolta
investigare: non di morti ammazzati, si tratta, ma di due suicidi: eppure il
dubbio è forte… le due donne si sono davvero suicidate, o c’è dell’altro? Cosa
significail biglietto che entrambe hanno lasciato? Perché è indirizzato al
commissario e cosa significa che “non si può sfuggire alla maledizione del
sangue”? Innanzitutto c’è un passato che ritorna. Bisogna tornare indietro nel
tempo per dipanare la matassa, ai rapporti tra Lombino e Assunta Imperio, alla
storia raccontata in Nucleo centrale,
il primo romanzo della saga (ed Assunta quando è morta stava leggendo proprio
questo libro…).”
“Assunta era una
donna d’acciaio, bella e spietata, indurita dal suo vissuto e dal suo essere
donna a capo di un clan di camorra. Lombino sa che non esiste una camorra
ideale, perché la camorra “è sempre stata violenza e sopraffazione”, ma sa pure
che Assunta era legata ad una sorta di codice d’onore, era una donna “ di
rispetto”, ed è per questo che con lei Lombino in passato è sceso a patti. (p.
37). Ecco il passato che ritorna.”
“Diverso è il caso di
Maddalena Ferrara, moglie innamorata, ma non ricambiata, del boss Salvatore
Imperio, estranea all’attività del clan, non implicata in nessuna azione
malavitosa. Quindi se appare in qualche modo spiegabile, comprensibile la morte
di Assunta, forse voluta dai capi di un clan rivale, meno comprensibile è
quella di Maddalena che possiamo definire
“fuori dal giro”…ovviamente non posso dire di più, posso solo aggiungere
che c’entra il sangue, “il sangue versato”. Chi è napoletano, dice Lombino
parlando con la dott.ssa Errico, sa quanto sia importante per tutti i
napoletani “il sangue versato”, più del denaro, più di ogni altra cosa (p.
154).”
“E poi c’è la
fisica…poteva mai mancare in questo quinto romanzo, penultimo della saga, la
fisica? Ovviamente no. Lombino, come ho già avuto modo di dire in altre
occasioni, ha bisogno della fisica come dell’ossigeno per respirare. Stavolta
le riflessioni disseminate nelle pieghe del romanzo riguardano l’“infinita
controversia tra Bohr e Einstein” sulla realtà (se esista o meno a prescindere
dall’osservazione) e riguardano il principio di causalità, messo in crisi dalla
fisica quantistica, ma rivendicato con assoluta convinzione dal povero commissario
(p. 190). Dunque, per Lombino, “se c’è fumo vuol dire che c’è fuoco” ed è un
preciso dovere di uno sbirro essere realisti e cercare di capire, di “capire
bene”, di trovare sempre una spiegazione, anche se questa non ci piace e non ci
tiene lontano dai guai.”
“Infine la copertina:
come al solito è indovinata ed assai eloquente. Abbiamo l’angolo di una
facciata di un palazzo di Santa Lucia: la prospettiva è dal basso verso l’alto:
cosa notiamo? A prima vista è un bel palazzo signorile, la facciata è “densa”,
piena di balconi e finestre, ma non c’è regolarità, non c’è ordine, non c’è simmetria…Vito
mi ha spiegato che per lui Napoli è proprio questa: una signora bella, ma di
una bellezza irregolare, non convenzionale e, a volte, un po’ malmessa… come dargli
torto?”
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