Vito Rosario Ferrone,
Relatività centrale, Arduino Sacco
Editore, 2012
Relatività centrale, romanzo di Vito
Ferrone pubblicato nel 2012 da Arduino Sacco Editore, è il secondo episodio di
una saga noir iniziata due anni fa
con Nucleo centrale, al quale l’autore
rinvia anche nella scelta del titolo. Il terzo romanzo – Centro immobile – è già in preparazione e, ne siamo certi, altri
seguiranno. I tre titoli, scelti con intelligenza, nei quali compaiono termini
come “nucleo” “relatività” “centro”, non solo ci riconducono alla formazione
tecnico-scientifica dello scrittore e alla sua professione di ingegnere
chimico, ma svelano un tratto importante del protagonista, il commissario Lombino
(alter-ego dichiarato dell’autore), a tal punto affascinato dalla fisica einsteniana
da utilizzarla, in quest’ultimo romanzo, come chiave di lettura di due
difficili casi di omicidio.
Ferrone,
dunque, è un ingegnere-scrittore di tipo “seriale”. I suoi romanzi sono naturalmente
narrazioni autonome e in sé concluse, ma sono anche i primi due capitoli di una
vicenda (umana e professionale) che si snoda, tra mille complicazioni, sullo
sfondo di una Napoli più che mai viva e brulicante, animata da personaggi
borghesi e popolari “veracemente” napoletani, ma mai stereotipati. Innanzitutto
c’è il commissario Lombino – lucano d’origine, ma napoletano d’adozione – alle
prese con l’organizzazione del matrimonio con l”eterna fidanzata” Margherita
Scarfoglio: donna bella e intelligente, Pubblico Ministero rispettato da tutti,
innamorata di un uomo tanto diverso da lei (Lombino ha radici contadine, viene
“dalla zolla”, Margherita è una “posillipina” doc), ma del quale apprezza
l’onestà e la concretezza; c’è poi Carmelina, la cameriera popolana, un po’
invadente ma fidatissima, che prepara un ottimo caffè e stira le camicie come
nessun altro al mondo; c’è Rosaria, la giovane amica, campionessa di pallanuoto
(lo sport preferito di Lombino-Ferrone), che, coinvolta nel primo caso
d’omicidio (quello del suo amante Marco Frassinelli, commercialista al servizio
della camorra), è anche la sorella del vice-commissario Pasquale Maffettone; c’è
l’informatore doppiogiochista Pèr ‘e palumm; ci sono i colleghi poliziotti
e gli agenti del commissariato (Salvatore e Antonietta, Gennaro e Francesco),
ragazzi umanissimi e coraggiosi, disegnati dall’autore con estrema “verità”. Sopra
tutto e tutti incombe la lunga mano della camorra: figure di donne, più
spietate degli uomini, appartenenti al clan del defunto Tore “Scarface”, al cui
vertice sembra esserci la giovane Annalisa Imperio, freddata in una una
sparatoria dalla dinamica misteriosa…Sullo sfondo scorre la vita pulsante di Napoli,
città inquieta e cinica, ferita a morte dalla malavita organizzata, ma anche
pronta a reagire grazie alla forza morale e all’intuito dei suoi uomini
migliori.
Questo
romanzo, insomma, che si inserisce a pieno titolo nella migliore tradizione del
romanzo “giallo” europeo, affascina e coinvolge il lettore tenendolo fino alla
fine col fiato sospeso; ciò grazie anche ad uno stile teso, segmentato, fatto
di periodi brevi e incalzanti, e da una struttura narrativa ben articolata,
nella quale le molte parti dialogate si intrecciano con i pensieri del commissario
(riportati in corsivo) e con le sue riflessioni sulla
teoria della relatività (“generale” e “ristretta”), alla quale ricorre in più
occasioni per tentare di sbrogliare la matassa intricata del duplice omicidio.
Lombino è certo “parente” di tanti altri commissari illustri della letteratura
italiana (dall’Ingravallo di Gadda al Montalbano di Camilleri), ma Ferrone
riesce a creare un personaggio originale, credibile, ricco di sfumature:
Lombino è un formidabile poliziotto, dotato di grande fiuto e sensibilità, ma è
anche pronto a mettersi in discussione se le sue scelte si rivelano sbagliate;
è maldestro nel rapporto sentimentale con Margherita (che, con ironia, giudica
“migliore di lui”), ma non può fare a meno del suo equilibrio di donna e di
magistrato; è paziente con Carmelina e ne accetta le impertinenze con bonarietà,
perché a Napoli, si sa, la cameriera è persona di famiglia; è burbero con i
colleghi e persino con il carissimo vice-commissario Maffettone, del quale mal
sopporta le debolezze e gli slanci d’affetto; è paterno con i giovani agenti
del commissariato e soffre maledettamente quando perde uno dei “suoi uomini”; non
ama la violenza, ma conosce bene le armi e non esita a colpire con un pugno in
pieno volto l’informatore Pèr ‘e palumm, che ha tradito la sua
fiducia, in una delle scene più tese e realistiche dell’intero romanzo.
Insomma, non possiamo fare a meno di affezionarci ad un commissario così e ne
attendiamo, con ansia, le prossime mosse.
Anche
la scelta della copertina, infine ci sembra indovinata: una splendida veduta
aerea, in bianco e nero, del centro storico di Napoli, con il decumano che
spacca in due la città e che sembra arrivare fino ai grattacieli del Centro
Direzionale…è forse questa una traccia, una pista che l’autore vuol farci
seguire? Ci piace pensare che Ferrone abbia voluto, più o meno consapevolmente,
indicare ai napoletani un cammino da compiere per far uscire la città dal suo secolare
immobilismo: un percorso dall’antico al moderno, nel senso di un rinnovamento
urbanistico, civile, politico di Napoli, che non vuol essere rifiuto della tradizione,
quanto piuttosto degli equivoci che sono sorti attorno ad essa e al concetto di
“napoletanità”. La tolleranza, la saggezza, la pazienza sono, è vero, virtù
ataviche del popolo partenopeo, ma è un errore confonderle con l’indifferenza, l’inerzia,
la rassegnazione pigra e connivente.
Alessandra
Ottieri
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