giovedì 27 febbraio 2014

Appunti dalla presentazione di "Immobilità centrale" di Vito R. FERRONE presso la libreria Ubik di Napoli,






di Alessandra Ottieri.


«Innanzitutto occorre sottolineare che Vito Rosario Ferrone non è un narratore esordiente, ma uno scrittore talentuoso che ha già al suo attivo due romanzi, pubblicati da Arduino Sacco Editore: Nucleo centrale nel 2010 e Relatività centrale nel 2012. Se ancora non ha ottenuto il riconoscimento di pubblico (e di critica) che merita è per una certa miopia del mondo editoriale italiano poco attento ai nuovi talenti, e poco propenso a concedere spazio e fiducia a narratori esordienti (sui quali è troppo rischioso scommettere…). Il romanzo Immobilità centrale che oggi presentiamo non è, dunque, l’opera prima di Vito Ferrone, ma solo l’ultima in ordine di stampa, il terzo episodio di una trilogia di romanzi che costituiscono una saga degna della migliore tradizione del genere noir italiano.»

«In secondo luogo, Vito Ferrone non è uno scrittore occasionale, né dobbiamo pensare che la scrittura sia per lui un’attività secondaria rispetto a quella principale di insegnante di chimica; la sua non è una passione coltivata privatamente, quasi clandestinamente, a margine della più seria e “rispettabile” attività di docente di scuola superiore. In realtà le “due anime” – quella del narratore e quella dell’insegnante – convivono e si intrecciano profondamente, generando un interessante passaggio di idee e stimoli da un “confine” all’altro.»

«I romanzi di Ferrone sono tutti costruiti attorno ad un personaggio forte e ben caratterizzato dall’autore – il Commissario Arcangelo Lombino, detto Lino – che inevitabilmente si apparenta con altri commissari celebri della nostra più recente narrativa “gialla”: l’ispettore Coliandro di Carlo Lucarelli, il Commissario Montalbano di Andrea Camilleri, l’ispettore Lojacono di Maurizio De Giovanni. Il richiamo a questi personaggi è imprescindibile ed immediato, il lettore è potato subito a fare confronti, salvo poi, procedendo nella lettura, accorgersi che Lombino è completamente diverso dagli altri due: Lombino vive e lavora a Napoli, ma viene dalla provincia lucana, “dalla zolla”, come scrive l’autore, ed è fiero di queste origini contadine; non è maldestro, quasi buffo, come il bolognese Coliandro, ma neppure ha la sicurezza e il fiuto infallibile di Montalbano... In comune con il commissario di Camilleri ha, semmai, la passione per la buona tavola, ma nulla di più. Come Lojacono, Lombino lavora in un commissariato di Napoli, ma non è napoletano; tuttavia, se il personaggio di De Giovanni ha uno sguardo cinico, pessimista, sulla realtà, anche per il peso di un passato difficile e ambiguo alle spalle, Lombino può mostrarsi al massimo deluso o arrabbiato o scontroso, ma non è mai cinico perché mai viene meno in lui la fiducia nelle possibilità della ragione e nella giustizia umana.»

«Lombino, insomma, è un poliziotto vero e umanissimo con tutto il carico di difetti e pregi che un poliziotto vero ha: è infaticabile e attivo sul lavoro, ma si prende spesso delle lunghe pause di riflessione; è onesto, moralmente integro, ma all’occorrenza non disdegna metodi e mezzi ai limiti della legalità pur di raggiungere l’obiettivo; è burbero, schivo con colleghi e superiori, non ama gli slanci di affetto del suo vice, Pasquale Maffettone, ma si preoccupa moltissimo per l’amico e per i suoi uomini, quando sono in pericolo, e soffre con i familiari dei suoi agenti se uno di loro muore; è un gran lavoratore, ma trova sempre il tempo per un buon caffè preparato dalla ineffabile cameriera Carmelina o per una cenetta in compagnia della fidanzata (e poi moglie) Margherita Scarfoglio.»

«E qui veniamo ad un altro grande pregio dei romanzi di Vito: la presenza, accanto al protagonista, di altri figure che è riduttivo chiamare secondarie, perché le loro vite, le loro azioni e parole si intrecciano e fanno tutt’uno con le azioni del protagonista. Attorno a Lombino c’è un mondo brulicante di personaggi napoletanissimi, ma non stereotipati, disegnati con estrema cura e attenzione per i dettagli, e ai quali non possiamo non affezionarci: c’è Carmelina, che stira le camicie alla perfezione; ci sono il vice-commissario Pasquale Maffettone e sua sorella Rosaria, amici carissimi di Lombino; gli agenti del commissariato; l’informatore di polizia Per’ e palummo; e soprattutto c’è la fidanzata Margherita, splendida donna, posillipina doc, proveniente da un mondo altoborghese lontano anni-luce da quello del provinciale Lombino, ma che inspiegabilmente ha scelto proprio il commissario per cominciare una nuova storia dopo un matrimonio fallito e due figli ai quali ovviamente il commissario è affezionatissimo.»

«In questo quadro frastagliato, colmo di personaggi che si muovono nei luoghi noti della città tra il centro storico, la periferia e la collina di Posillipo, si aggira il commissario alla risoluzione di casi difficili di omicidio legati all’ambiente della camorra, tra traffico di droga, riciclaggio di denaro sporco e affari illeciti di ogni genere»

«Ma come risolve i suoi casi il Commissario? Qual è la sua arma vincente? Qual è il segreto delle sue intuizioni che lo fanno arrivare prima degli altri alla soluzione dei casi che gli si prospettano? Una persona, che forse senza neppure averne consapevolezza, aiuta il commissario a mettersi sulla pista giusta è Carmelina, la simpatica e affezionata tata, popolana a suo modo giudiziosa, piena di buon senso, di una semplicità ostinata e disarmante, eppure acuta nelle sue schiette e spesso sgrammaticate osservazioni. E naturalmente c’è Margherita, donna e magistrato,  dotata di grande intelligenza, di estrema concretezza e serietà, è lei che induce Lombino ad attenersi alla logica dei fatti, a non divagare; perché, ebbene sì, a Lombino piace tantissimo divagare, abbandonarsi a lunghissime riflessioni che per la verità solo apparentemente lo distraggono dalle indagini, ma che invece lo aiutano a schiudere prospettive diverse, a vedere le cose da angolazioni prospettiche inedite. La fisica quantistica, la teoria dei quark, la teoria della relatività di Einstein vengono in soccorso al commissario; proprio quando le indagini appaiono in un vicolo cieco e Lombino non sa come procedere… è proprio allora che un postulato scientifico, una legge fisica, una formula sembrano schiudere orizzonti inattesi…»

«Ma veniamo all’ultimo romanzo pubblicato. Con Immobilità centrale l’autore ci spiazza e per più di un motivo. A cominciare dalla bellissima copertina. Se quelle dei due libri precedenti raffiguravano vedute emblematiche della città di Napoli, quest’ultima raffigura un albero spoglio, dalle radici profonde ben conficcate nel terreno e i rami nudi protesi verso il cielo, tutt’attorno terra e nuvole: in quell’albero solitario non si può non leggere una metafora del commissario che, da un lato, ha i piedi ben piantati per terra, ha il pudore, la solidità e la concretezza dell’uomo lucano, dall’altro, ha una irrinunciabile attitudine al “volo” non può fare a meno di innalzarsi, almeno col pensiero, con la speculazione scientifica, al di sopra delle miserie e piccole meschinità della vita quotidiana.»

«In Immobilità centrale, Lombino e Margherita sono in vacanza in Lucania, con i figli di lei, presso la casa materna del commissario; i personaggi che fanno da comprimari alle azioni del protagonista non sono più gli agenti del commissariato, i colleghi, i camorristi, gli informatori, i fratelli Maffettone e la cameriera Carmelina, e tutta la varia umanità della città di Napoli. In questo romanzo Lombino torna alle origini e ritrova i cosiddetti “paesani”, gli amici d’infanzia, i compari e le comari, i padrini e le madrine, e le mille voci di un paese lucano la cui cifra caratteristica è appunto l’immobilità indicata nel titolo: la madre, i parenti, i paesani appartengono a un mondo che è ancorato alle proprie convinzioni morali ed etiche, nelle quali il commissario si riconosce, ma che fatica, talvolta, ad emanciparsi da atavici pregiudizi e piccole ipocrisie che da sempre ne fanno parte.»

«Un mondo, quello lucano, dove la lentezza dei ritmi di vita è associata con la resistenza dei valori tradizionali (innanzitutto l’onestà e la dignità), con la genuinità e semplicità dei sentimenti e degli affetti, rimasti intatti e puri. Nonostante la lontananza e il tempo remino contro, Lombino ritrova in terra lucana i parenti e soprattutto gli amici dell’infanzia, sempre disponibili ad accoglierlo e a preparare per lui deliziose cene ricche di pietanze della tradizione.»

«Straordinaria è la figura della madre, severa negli sguardi, decisa nelle azioni, di poche parole con il figlio, ma pronta ad accettare Margherita (nonostante sia una donna “di città” e per giunta separata) e soprattutto pronta ad aprirsi e a diventare dolcissima con i suoi due figli…la madre di Lombino diventa quindi una “nonna” speciale pronta a far conoscere ai due nipoti acquisiti le meraviglie del bosco e della vita libera dei ragazzi “di campagna”. »

«Anche in questa terra lontana, dove la vita scorre tranquilla e praticamente uguale, Lombino si trova a dover affrontare un delicato caso da risolvere: dapprima deve indagare su un banale furto di bestiame, ma dopo poco la vicenda si complica per la morte violenta di due giovani. Come al solito i colpevoli saranno scoperti e assicurati alla giustizia, ma stavolta a Lombino resterà l’amaro in bocca e il commissario non proverà nessuna soddisfazione professionale per la risoluzione del caso perché ad essere coinvolti sono i paesani, gli amici, le persone care. La situazione diventa presto sgradevole, pesante e allora a Lombino non resta che cercare consolazione, quasi una via di fuga, nella speculazione scientifica.»

«Stavolta ad interessarlo non è una teoria scientifica, ma il processo nei confronti di Galileo Galilei che, ignorando le raccomandazioni del papa, si ostina a presentare il sistema copernicano come unico sistema scientificamente corretto, pur non avendone sicure prove sperimentali. Lombino ripercorre le fasi salienti del processo, conclusosi con l’abiura dello scienziato, e si interroga sull’atteggiamento di Galileo e dei cardinali, fa ipotesi e deduzioni, trovando in questo nuovo argomento di riflessione non tanto uno spiraglio alla risoluzione del caso, come in Nucleo Centrale e in Relatività centrale, quanto una valvola di sfogo, un varco per un altro mondo, senz’altro più razionale, dove rifugiarsi, “distrarsi”…in attesa di ripartire, sempre in compagnia di Margherita.»


«Lo stile di Ferrone è piano, con una punteggiatura ricca che ci induce a sostare sulle singole frasi, a rimeditarle, per seguire con attenzione i percorsi mentali del commissario. La scrittura si dipana attraverso un doppio registro: da un lato le azioni e le parole del protagonista, dall’altro i suoi pensieri sottolineati dall’uso del corsivo. Ferrone fa parlare Lombino in un certo modo, con cautela e moderazione, ma allo stesso tempo ne scopre i pensieri veri e li sottolinea con il corsivo: dal contrasto tra parole e pensieri, detto e non detto, vengono fuori scene davvero esilaranti, soprattutto quando l’interlocutrice è Margherita…con la quale non è facile misurarsi, ed anzi è difficile per il commissario non commettere errori e gaffes

«Sappiamo che un quarto capitolo della saga di Lombino/Ferrone è già pronto per la stampa (Assenza centrale) ed un quinto è in lavorazione…poi, come ha annunciato l’autore, Lombino “sparirà” per cedere il posto ad un nuovo personaggio (forse meno auto-referenziale) che, ne siamo convinti, ci appassionerà quanto, se non di più, del nostro commissario».


giovedì 6 febbraio 2014

Immobilità centrale

In arrivo il terzo libro di Vito R. Ferrone. Mercoledì 19 febbraio, alle ore 17.00, si terrà la presentazione presso la libreria Ubik di via Benedetto Croce n. 28. 
Interverranno, oltre all'autore, la prof.ssa Alessandra Ottieri (Università L'Orientale di Napoli) e la prof.ssa Maria Rosaria Cavaliere (docente di fisica).