sabato 16 aprile 2016

Alessandra Ottieri, Appunti della presentazione del volume di Vito Ferrone, Napoli è Centrale, per il commissario Lombino, Youcanprint, 2015


Napoli è Centrale” è il quinto romanzo della serie del commissario Lombino e, nelle intenzioni dell’autore, sarebbe dovuto essere anche l’ultimo. Quando lo scorso anno Vito ha dato il triste annuncio e ci ha detto che avrebbe chiuso la serie noir di Lombino per dar vita ad un nuova saga incentrata su un personaggio femminile, un po’ ci è dispiaciuto.”

“Lombino è un personaggio al quale ci si affeziona facilmente, forse perché riproduce molti tratti della personalità e del carattere del suo autore, del quale è naturalmente un alter ego; è uno sbirro dal cuore puro, un po’ burbero, ma anche sornione e molto umano, addirittura tenero in certe circostanze; è ancora giovane anagraficamente, ma legato ad un modo un po’ antico di fare il poliziotto; è uno sbirro vecchio stile, che risolve casi complicatissimi, senza l’aiuto di tecnologie sofisticate, ma solo con un fiuto infallibile e una grande capacità di penetrare il ‘fattore umano’, di individuare i moventi profondi che spingono gli individui ad agire (Marlowe e Maigret, sono i puntidi riferimento di Vito, non di certo gli investigatori muscolosi e/o super-tecnologici delle serie TV americane). Lombino è semplicemente un osservatore, un poliziotto che vuol capire e soprattutto “sentire”, ovvero percepire la realtà con tutti i sensi, ma anche con il cuore, con il cervello, con l’anima; vuole caparbiamente entrare dentro la testa e dentro la coscienza di chi ha di fronte, penetrare nel suo mondo, nella sua vita, nella sua mentalità (p. 154). E’ così, che il nostro commissario può riuscire a decifrare gli indizi, i segnali che gli occorrono per la risoluzione di un caso, anche del più intricato.”

“Comunque niente paura. Vito non ha ancora ucciso (metaforicamente) la propria creatura, Lombino è “vivo e vegeto” ed anzi lo ritroveremo anche nel prossimo romanzo che è in preparazione: e non potrebbe essere altrimenti, considerato il finale di questo romanzo, che naturalmente non vi racconto, ma che lascia l’amaro in bocca. Come è scritto nella quarta di copertina “questa volta niente sarà come prima”, qualcosa di sconvolgente accade nelle pagine finali, che sorprendono e commuovono, e il lettore capisce che la storia di Lombino non può finire così, qualcos’altro dovrà accadere, probabilmente di drammatico. Insomma, dobbiamo prepararci ad un’altra storia e ad un’altra conclusione, quella che metterà davvero la parola “fine” alla vicenda umana e professionale del nostro commissario.”

“Ma partiamo dal titolo. “Napoli è Centrale” per il commissario Lombino (in questo, come nei precedenti romanzi della saga); essa costituisce lo sfondo imprescindibile di tutti gli intrecci e di tutti i fatti di sangue sui quali il commissario è chiamato a investigare, e la “napoletanità” (nella sua accezione migliore, positiva) è una componente essenziale del suo carattere. Lombino non è napoletano di nascita, ma ha scelto Napoli come sua città ed è diventato parte di essa, Napoli gli è entrata nel cervello e nel cuore.”

“Ma quale Napoli? Le strade, i quartieri, i monumenti e le chiese della nostra città suggeriscono la presenza di almeno due volti: uno più potente, superbo, quasi arrogante, l’altro più umile, semplice, rassegnato: sono queste, in fondo, le due anime del popolo partenopeo e le due chiese del centro storico, il Gesù Nuovo e Santa Chiara, poste quasi una di fronte all’altra, testimoniano appunto questo affascinante dualismo (p. 122).”

“Napoli è innanzitutto la città del cuore: quella della formazione professionale e della crescita personale di Lombino, quella dei suoi affetti più cari, della sua donna MargheritaScarfoglio, (prima fidanzata, poi moglie e ora in attesa di un figlio), pubblico ministero in gamba, impegnata, in questo romanzo in un’indagine delicatissima e anche piuttosto rischiosa. Napoli è la città degli amici veri, del vice-commissario Pasquale Maffettone e della sua splendida sorella Rosaria, che ritorna a Napoli e nella vita del commissario dopo un lungo periodo di assenza; è la città della tata Carmelina, dell’agente Giuliani, della Dott.ssa Errico, della sig.ra Clotilde, di Ciro e Sasà, titolari del bar ai Decumani dove Lombino è di casa: tutti personaggi positivi che abbiamo conosciuto nei precedenti romanzi e che fanno parte del variopinto mondo affettivo del commissario; nel loro insieme rappresentano la Napoli “buona e simpatica”, popolare e borghese, la faccia pulita della nostra città, fatta di persone che lavorano con serietà e dedizione, che ancora credono nei valori familiari e che sono capaci di grandi slanci affettivi.”

“Ma c’è anche un’altra Napoli, in questo romanzo, quella della disoccupazione feroce, delle scuole che non funzionano, dei cittadini che protestano perché non vedono riconosciuti neppure i più elementari diritti (salute, casa, istruzione, lavoro): si sa che a Napoli non funziona niente, cortei e manifestazioni di piazza sono all’ordine del giorno ed è con questa realtà che il vice-questore Lombino (ex commissario) è costretto a misurarsi. Deve occuparsi di ordine pubblico, deve fare i conti con una città in cui nulla funziona, e nulla è come dovrebbe essere: operai licenziati che minacciano di buttarsi giù dai cornicioni dei palazzi, studenti che occupano scuole che cadono a pezzi e dirigenti che non sanno che pesci prendere. Ma il commissario non ne può più di tutto questo, (p. 94). E’ frustrante non poter risolvere queste problematiche: Lombino non ha risposte da dare agli operai, agli studenti, ai presidi, ai disoccupati, meglio stare “in prima linea” e affrontare omicidi e guerre tra clan… almeno in quei casi un colpevole lo si può trovare, qualcuno da sbattere in galera.”

“Lombino vuole dunque tornare ad affrontare la terza Napoli raccontata nel romanzo, quella più oscura e malata, quella irredimibile: la città della malavita organizzata, delle piazze di spaccio, della guerra tra clan camorristici, e in particolare tra i Moffa e gli Imperio: vicende che abbiamo conosciuto nei romanzi precedenti e che ora ritornano in questa storia perché, ahimè, il “passato ritorna” attraverso due suicidi: quelli di Assunta Imperio e di Maddalena Ferrara - rispettivamente madre e moglie del defunto boss Salvatore Imperio - entrambe morte suicide, la prima in carcere, la seconda a casa sua, ed entrambe con accanto un biglietto inquietante chiaramente indirizzato al nostro commissario (p. 5).”

“Ecco i due casi, chiaramente collegati tra di loro, sui quali Lombino dovrà stavolta investigare: non di morti ammazzati, si tratta, ma di due suicidi: eppure il dubbio è forte… le due donne si sono davvero suicidate, o c’è dell’altro? Cosa significail biglietto che entrambe hanno lasciato? Perché è indirizzato al commissario e cosa significa che “non si può sfuggire alla maledizione del sangue”? Innanzitutto c’è un passato che ritorna. Bisogna tornare indietro nel tempo per dipanare la matassa, ai rapporti tra Lombino e Assunta Imperio, alla storia raccontata in Nucleo centrale, il primo romanzo della saga (ed Assunta quando è morta stava leggendo proprio questo libro…).”

“Assunta era una donna d’acciaio, bella e spietata, indurita dal suo vissuto e dal suo essere donna a capo di un clan di camorra. Lombino sa che non esiste una camorra ideale, perché la camorra “è sempre stata violenza e sopraffazione”, ma sa pure che Assunta era legata ad una sorta di codice d’onore, era una donna “ di rispetto”, ed è per questo che con lei Lombino in passato è sceso a patti. (p. 37). Ecco il passato che ritorna.”

“Diverso è il caso di Maddalena Ferrara, moglie innamorata, ma non ricambiata, del boss Salvatore Imperio, estranea all’attività del clan, non implicata in nessuna azione malavitosa. Quindi se appare in qualche modo spiegabile, comprensibile la morte di Assunta, forse voluta dai capi di un clan rivale, meno comprensibile è quella di Maddalena che possiamo definire  “fuori dal giro”…ovviamente non posso dire di più, posso solo aggiungere che c’entra il sangue, “il sangue versato”. Chi è napoletano, dice Lombino parlando con la dott.ssa Errico, sa quanto sia importante per tutti i napoletani “il sangue versato”, più del denaro, più di ogni altra cosa (p. 154).”

“E poi c’è la fisica…poteva mai mancare in questo quinto romanzo, penultimo della saga, la fisica? Ovviamente no. Lombino, come ho già avuto modo di dire in altre occasioni, ha bisogno della fisica come dell’ossigeno per respirare. Stavolta le riflessioni disseminate nelle pieghe del romanzo riguardano l’“infinita controversia tra Bohr e Einstein” sulla realtà (se esista o meno a prescindere dall’osservazione) e riguardano il principio di causalità, messo in crisi dalla fisica quantistica, ma rivendicato con assoluta convinzione dal povero commissario (p. 190). Dunque, per Lombino, “se c’è fumo vuol dire che c’è fuoco” ed è un preciso dovere di uno sbirro essere realisti e cercare di capire, di “capire bene”, di trovare sempre una spiegazione, anche se questa non ci piace e non ci tiene lontano dai guai.”

“Infine la copertina: come al solito è indovinata ed assai eloquente. Abbiamo l’angolo di una facciata di un palazzo di Santa Lucia: la prospettiva è dal basso verso l’alto: cosa notiamo? A prima vista è un bel palazzo signorile, la facciata è “densa”, piena di balconi e finestre, ma non c’è regolarità, non c’è ordine, non c’è simmetria…Vito mi ha spiegato che per lui Napoli è proprio questa: una signora bella, ma di una bellezza irregolare, non convenzionale e, a volte, un po’ malmessa… come dargli torto?”