lunedì 21 novembre 2016

Una lettrice affezionata commenta "Napoli è Centrale"

Margherita Scarfoglio è morta. In un attentato. E con lei suo figlio. Il figlio di Lombino. 
Vorrei alzare il telefono e chiamare Ferrone. Dirgli che non è giusto. Che non doveva finire così. Che il libro sarebbe stato altrettanto bello senza necessità di sacrificare Margherita, né Lombino. Anche il Commissario, infatti, è morto, sebbene respiri, mangi, beva caffè, parli e cerchi di dormire. Lombino, il mio Lombino, non c'è più. Magari continuerà a sorridere; a scherzare con Rosaria; ad apprezzare Napoli e i napoletani. Magari avremo ancora modo di "godere" dei suoi irresistibili retropensieri. Ma sullo sfondo ci sarà sempre l'immagine di Margherita e del figlio che portava in grembo morti in un maledettissimo attentato. In "Napoli è Centrale" vince il male. L'amarezza è inevitabile. Ne esce sconfitta anche Napoli. La sua bellezza; il calore delle persone; il cibo buono; le sue donne dotate di una "bellezza piena e solare, maliziosa e suadente, agguerrita e dolce, che solo Napoli riesce ad esprimere"; l'umanità di tanti non basta a lenire il dolore e a restituire a Napoli i suoi colori vivaci. Se provo ad accantonare per un attimo la mia delusione, non posso, però, che constatare che "Napoli è Centrale" è il miglior libro che abbia letto negli ultimi anni. Il ritmo è incalzante; fin dalle prime pagine, magistralmente, l'Autore suscita nei lettori curiosità, che presto si trasforma in paura. Si percepisce che qualcosa non andrà come dovrebbe. Ma anche la tragedia si veste di dignità. Questa è la grandezza di Ferrone. Coinvolgere emotivamente il lettore, strappargli un sorriso e, talvolta, commuoverlo sempre con estrema delicatezza.

Anna Bizzarro

lunedì 14 novembre 2016

Un altro commento su "Assenza centrale"

Il commissario Lombino, ormai Vicequestore, si è sposato con Margherita Scarfoglio e vive a Posillipo. Mi sono chiesta se questo cambio di residenza avrebbe inciso sul modus agendi di Lombino. Soltanto alla fine  del romanzo "Assenza Centrale" ho avuto la conferma di quanto speravo: Lombino non è cambiato. Nella mia mente ho sempre diviso Napoli e i napoletani in due settori: quello del centro storico e la zona Chiaia/Posillipo. Il centro storico è come la curva B allo stadio. E' lì che incontri il tifo vero. Così, è soltanto al centro storico, con i suoi odori, le sue stradine, i suoi rumori che puoi conoscere la vera Napoli e incontrare i napoletani autentici. Quelli che ti riscaldano con uno sguardo; che ti strappano un sorriso inaspettato; che ti avvolgono nelle loro braccia. E Lombino è così, un napoletano autentico. In "Assenza Centrale" si conferma la bellezza del suo personaggio. Il suo modo di essere affascina. Procede per intuizioni e, ancora una volta, svela il colpevole di un omicidio efferato, a sfondo sessuale. Ciò che colpisce è il contrasto tra l'immagine dell'omicidio e la purezza dei sentimenti di Lombino. La vittima, infatti, è stata molto amata dal Vicequestore. Oggetto di amore puro e disinteressato in vita, la stessa donna appare dissacrata da un feroce assassino. Soltanto l'intuito di Lombino - che prescinde sia dalle moderne tecniche investigative, sia da una vera e propria indagine - consente di individuare il colpevole. Amore/odio, bene/male, purezza/immoralità sono i contrasti abilmente tracciati da Ferrone, che si conferma tra i miei autori preferiti.

Anna Bizzarro

sabato 12 novembre 2016

Nuova recensione per "Relatività centrale"

Quando volendo entrare, noi comuni lettori di gialli polizieschi, nella eterna lotta tra Bene e Male, solo perché lì vi entrano personaggi preposti al Bene, cioè all'agire secondo una giusta condotta, secondo leggi morali imposte o autoimposte dall’esterno sociale, o che obbediscono alla verità dei fatti, o che più semplicemente aderiscono al ruolo che hanno scelto di interpretare nella grande commedia della vita e delle vicende umane, allora, ci imbattiamo sicuramente in un personaggio come Arcangelo Lombino, commissario di polizia per scelta o per vocazione, ma forse per inevitabilità del caso, che diventa per meriti suoi personali finanche vicequestore, e quindi votato per sempre alla causa del Bene. Ma il Personaggio Lombino è anche personalità complessa, così come lo ha voluto il suo plasmatore ovvero lo scrittore romanziere Vito Ferrone che non nasconde una forte simpatia, se non empatia, per il suo personaggio. E come potrebbe essere il contrario?  Il commissario nonché vicequestore Lombino, ha forte inclinazione per il pensiero scientifico, anzi è un cultore dello studio di principi della fisica teorica che addirittura si diverte a citare attraverso i suoi principali punti di riferimento, ovvero i maestri della fisica quali Einstein, Majorana e altri… Ed è pura combinazione dunque, che lo stesso scrittore sia contemporaneamente ma forse principalmente uno studioso di “fisica e dintorni” e docente di chimica che sebbene prestato alla letteratura non si distacchi dai suoi saperi che spesso e volentieri fanno capolino tra le pieghe delle vicende efferate e non, raccontate nei romanzi di cui Lombino è il protagonista. Ma come dicevamo, interpretare il Bene è difficile, e per il commissario Lombino lo è molto di più. Non si tratta di venire meno ai suoi doveri d’ufficio, anzi probabilmente è l’esito opposto: un eccessivo zelo. Bisogna inquadrare lo sfondo, i luoghi dove opera Lombino, si tratta della nobile e miserabile città di Napoli, coacervo di umanità varie e di realtà sociali complesse. Quando infatti diciamo che il ricco convive col povero o il nobile col plebeo diciamo il vero, ma questo significa che non esista una linea di demarcazione tra il Bene e il Male. Anzi a Napoli troviamo quanto più di compromissorio possa esserci tra le due entità morali se non di connivenza e complicità. Ma qui sarebbe inutile dissertare di cose che un commissario sa benissimo e Lombino ancora di più. Infatti il personaggio è tra i più interessanti prodotti dalla letteratura poliziottesca italiana. Un veloce excursus ci dice che tutti gli altri protagonisti, dai più vecchi e noti Maigret e Poirot passando per Coliandro, Ambrosio, Juvara, Sarti, Raimondi, fino a Montalbano, Scialoja e il commissario Soneri, tutti commissari di questura in varie città italiane, sono abbastanza integri, meglio integralmente associati nella lotta al crimine, sempre dal lato giusto della legge, senza alcun ripensamento o dubbio su cosa fare. Il nostro Lombino è come tutti gli altri, ottimo funzionario, tale da meritare encomio dai superiori, fino alla promozione, ma in più e diversamente da molti altri , è perfettamente consapevole della situazione in cui opera, dell’ambiente e delle persone di cui si occupa, siano essi criminali o vittime. E già qui il lettore si pone davanti ai dubbi che le stesse indagini e le riflessioni del commissario propongono, ovvero siamo sicuri, al di là appunto di ogni ragionevole dubbio che il criminale scoperto, fosse anche un assassino o mariuolo, sia veramente e fino in fondo colpevole dei misfatti compiuti e le vittime, al contempo, completamente innocenti? Certo abbiamo piena fiducia come è ormai noto, nella nostra Giustizia e nella Magistratura irreprensibile e competente,  che di solito assicura il malvivente alla giusta pena e nei tempi giusti. Appunto la giustizia fa il suo corso, mentre Lombino fa le sue indagini, cerca la verità dei fatti oltre la realtà apparente che è piena di insidie. Ma allora cosa vuole fare Lombino,  cosa pretende oltre le sue funzioni?  Già percorre una vita privata difficile, perché è un convivente non sposato, ma non basta, la sua compagna di vita ma anche in qualche modo di lavoro, è un P.M., un magistrato molto apprezzato per il lavoro contro le mafie, sempre impegnatissima, e nota ai lettori come la Dott.ssa Margherita Scarfoglio donna emancipata, divorziata, con suoi figli che Lombino accetta. Dunque, cosa vuole questo commissario, da tutti, dalla realtà che lo coinvolge, dalla vita, dalla sua città, dalla compagna che pur di maggior importanza istituzionale, lo ascolta, gli dà retta, ma soprattutto cosa vuole dai lettori che lo seguono nelle sue vicende poliziesche, nei suoi ragionamento metafisici pur occupandosi di fisica e dintorni?  Lombino è un non-commissario dentro ad una lotta tra Bene e Male in cui è perdente, e lui lo sa. I delitti, e in “Relatività Centrale” è così evidente, lo coinvolgono personalmente, così che dovrà alla fine, arrendersi . La vittoria del Male è ineluttabile e prescinde da lui, dal suo impegno nella lotta, dai suoi buoni principi, dalla sua vita e dai suoi sentimenti buoni o quasi buoni . Alla fine, è la sottile linea di equilibrio tra intelligenza e intuito che gli permetterà di risolvere il caso. Ma non di superare gli abissi che lo circondano e che solo un suo personale patrimonio di umanità gli permetterà di evitare. Infine la risposta che suggeriamo al precedente quesito, potrebbe essere, Lombino vuole la pace, essere lasciato in pace con una sua atavica ricerca di armonia e perfezione che solo un ritorno alle sue origini, ai suoi luoghi,  gli potrà regalare. (mauridal)    

giovedì 27 ottobre 2016

Ancora su "Relatività Centrale"

Si è appena conclusa un'altra settimana "in compagnia" di Lombino. E' questo il tempo massimo che impiego per leggere i travolgenti racconti di Vito Rosario Ferrone. Se non avessi altri impegni, credo che "trascorrerei" una sola ma intensa giornata con il mio Commissario preferito. Anche questa volta l'Autore mi ha rapita, conducendomi per mano all'interno di un'avventura non troppo lontana dalla vita reale. In "Relatività Centrale" funge da cornice Napoli, dipinta da Ferrone con i colori brillanti che le si addicono, senza però sottacerne gli aspetti meno apprezzabili. Un quadro che evoca sensazioni dolci e amare. Un ossimoro perfetto per la mia città. L'intrico poliziesco è come sempre ben strutturato e mai banale. Anche chi non ama il genere giallo non può non apprezzare lo stile inconfondibile di Ferrone. Svelare i colpevoli di delitti efferati è soltanto un'occasione per riflettere sulla complessità dell'animo umano. La cosa che colpisce è la capacità dell'Autore di tracciare personaggi realistici e mai etichettabili in assoluto come "buoni" o "cattivi". "Relatività Centrale" è la conferma non soltanto di quanto il Commissario Lombino sia "eroicamente" umano, ma soprattutto delle espresse capacità dell'Autore di dipingere in chiaroscuro fatti, persone e scenari.

Anna Bizzarro

domenica 2 ottobre 2016

Il commento entusiasta di una lettrice a "Immobilità Centrale"


Ieri ho concluso la lettura di “ImmobiItà Centrale” di Vito Rosario Ferrone e il Commissario Lombino già mi manca. Lo cerco nei visi e nelle parole della gente, ma non mi resta che attendere la pubblicazione di un altro libro dell’Autore. Vito Rosario Ferrone con stile diretto quasi giornalistico, con ironia e profondità,  rapisce i lettori e li proietta in una vicenda che richiama non soltanto il genere giallo , ma che è molto di più. Sullo sfondo di un crimine che necessita dell’individuazione di un colpevole, Ferrone – grazie alla voce del Commissario Lombino – esalta gli aspetti più belli dell’animo umano. La vera grandezza dell’uomo è il suo bagaglio culturale, da intendersi non come conoscenza ma come fiducia nelle tradizioni e nei valori. I valori antichi e rassicuranti dell’amicizia, del rispetto  della famiglia e dell’amore. Lombino è un uomo solido, brillante, arguto e sensibile. Ma l’Autore non tralascia di evidenziare le sue debolezze. La gelosia per il “p. m. più bello d’Italia”; reazioni, a volte, eccessive; la difficoltà di cedere dinanzi al confronto; l’avversione per la tecnologia. Ma questo è la forza di “ImmobiItà Centrale”. La bellezza interiore dei personaggi di certo non è scalfita dalla loro umanità. I loro limiti, seppure minimi, li rendono realistici, sì che ciascuno può rivedersi nelle parole e nei gesti di Lombino o nel sarcasmo di Margherita. Esilaranti sono i dialoghi tra il Commissario e i  p.m. e il “retropensiero” di Lombino non può  che strappare un sorriso.  A chi non capita di sottacere un pensiero diverso da quello espresso? Ironia, profondità di pensiero, “eccellenze” vestite con gli abiti della normalità e vivacità del racconto sono gli ingredienti di un “prodotto” molto  ben riuscito qual è, senza dubbio, il libro di Ferrone. Un solo appunto: ridatemi Lombino!

Anna Bizzarro

giovedì 21 luglio 2016

Un lettore commenta "Napoli è Centrale"

Sono passati molti mesi  dalla lettura dell’ultimo romanzo di Ferrone. In questo lasso di tempo, due mondi si sono sedimentati  nella mia mente. Il primo: il mondo delle donne. L’autore riesce ad entrare in questo universo con passo lieve. Si addentra con una delicatezza ed una profondità, che solo chi, veramente, ama ciò che sta descrivendo può riuscire ad esprimerne l’essenza. Senza cadere nel banale e nel già detto, cosa che vale anche nell’analisi di Napoli e dei napoletani. Il secondo: il mondo della scuola. Tu sei figlio della cattiva scuola, prima come studente e poi come docente. Come tale non puoi comprendere la buona scuola e tutte le ultime riforme. Le quali hanno dato i frutti sperati: il blocco della mobilità sociale e  la fine della scuola pubblica. Devi eliminare dal tuo vocabolario il termine studiare.  Caro autore è sempre un piacere ed una sorpresa leggerti al di là di chi è l’assassino.

Antonio Agliottone

mercoledì 1 giugno 2016

Un lettore commenta "Assenza centrale"

Quando inizio a leggere un poliziesco dove il protagonista, inevitabilmente è un poliziotto che, nel caso di Lombino Arcangelo è anche commissario, promosso a vicequestore per capacità investigative, indubbie, a detta dei superiori, allora mi viene subito da associare a questo personaggio una delle scritte che di frequente si trovano sui muri lungo i percorsi delle manifestazioni e dei cortei di protesta, nelle grandi città, italiane e non solo: ACAB, è uno slogan di origine anglosassone, che tradotto vorrebbe dire, tutti i poliziotti sono bastardi. Una scritta da protesta e ribellione estrema, che individua e colpisce la polizia in quanto forza preposta all'ordine pubblico e quindi spesso utilizzata per reprimere le proteste e disperdere i manifestanti, anche con violenza. Ma subito proseguendo nella lettura di Assenza Centrale, romanzo del prof. Vito Ferrone scrittore, nonché come il suo alter ego Lombino, appassionato di fisica e seguace del noto Ettore Majorana, scomparso misteriosamente, mi accorgo che di bastardo nel personaggio Lombino, poliziotto, c'è poco. Anzi è probabile che non abbia nulla di cui rimproverarsi nell'eseguire il compito di controllo dell'ordine pubblico, in occasione di manifestazioni di protesta a Napoli, sua città di adozione e di servizio. Ma un commissario di polizia che opera a Napoli, città tra le più difficili da governare nel ”bel paese”, deve avere a che fare con tanti fatti e avvenimenti propri di una grande città, furti, delinquenza singola e organizzata, malaffare, varie inciviltà quotidiane. Senza dubbio però i più affascinanti, e per certi aspetti godibili letterariamente, sono i delitti. L'omicidio è il fatto che più coinvolge e appassiona lo scrittore e di conseguenza i suoi lettori. Talvolta gli omicidi sono banali, tristemente ordinari, per cui l'investigatore non ci mette granché di suo per giungere all'arresto del colpevole, quindi se non è il maggiordomo che uccide la marchesa, di solito l'omicidio, specialmente a Napoli, è uno sgarro di pregiudicati, è una vendetta di camorra, per cui un poliziotto di esperienza criminale riesce prima o poi a risolvere il caso. Ma lo scrittore non può limitarsi all'ordinario. E nel caso di Ferrone e del suo Assenza Centrale, direi che siamo in presenza di un caso straordinariamente fuori da ogni specie di omicidio, che un lettore possa immaginare. Potrebbe sembrare una esagerazione dire che per questo omicidio raccontato nel romanzo, ci voleva un' investigatore altrettanto straordinario da impiegare per poterlo affrontare e giungere alla soluzione. E il commissario Lombino sembra perfettamente riuscito in questo ruolo. Un personaggio che si distingue per la sua semplice umanità , ma anche per la concretezza dei pensieri, o meglio dei retropensieri, dei quali la scrittura del romanzo, con grande raffinatezza, evidenzia in corsivo lo svolgersi, durante il corso dei normali dialoghi tra personaggi. Dunque il commissario Lombino scopriamo essere uno straordinario personaggio, fisico teorico, celato dalla vita ordinaria ma al contempo con grandi e malcelate inquietudini e fantasiose nefandezze, che alla luce dell'efferatezza dell'omicidio a sfondo sessuale con una decisiva perversione, forse si risvegliano, tanto da fargli poi rimpiangere la propria moglie, la cuoca domestica, e quant'altro possa riportarlo alla sua vita ordinaria di poliziotto, pur se novello vicequestore. Allorché finisco di leggere questo intrigante romanzo, decisamente respingo un affiorante dubbio, ma vuoi vedere che il commissario Lombrino è pure lui un bastardo? (mauridal) Napoli, 11/05/2016  

sabato 16 aprile 2016

Alessandra Ottieri, Appunti della presentazione del volume di Vito Ferrone, Napoli è Centrale, per il commissario Lombino, Youcanprint, 2015


Napoli è Centrale” è il quinto romanzo della serie del commissario Lombino e, nelle intenzioni dell’autore, sarebbe dovuto essere anche l’ultimo. Quando lo scorso anno Vito ha dato il triste annuncio e ci ha detto che avrebbe chiuso la serie noir di Lombino per dar vita ad un nuova saga incentrata su un personaggio femminile, un po’ ci è dispiaciuto.”

“Lombino è un personaggio al quale ci si affeziona facilmente, forse perché riproduce molti tratti della personalità e del carattere del suo autore, del quale è naturalmente un alter ego; è uno sbirro dal cuore puro, un po’ burbero, ma anche sornione e molto umano, addirittura tenero in certe circostanze; è ancora giovane anagraficamente, ma legato ad un modo un po’ antico di fare il poliziotto; è uno sbirro vecchio stile, che risolve casi complicatissimi, senza l’aiuto di tecnologie sofisticate, ma solo con un fiuto infallibile e una grande capacità di penetrare il ‘fattore umano’, di individuare i moventi profondi che spingono gli individui ad agire (Marlowe e Maigret, sono i puntidi riferimento di Vito, non di certo gli investigatori muscolosi e/o super-tecnologici delle serie TV americane). Lombino è semplicemente un osservatore, un poliziotto che vuol capire e soprattutto “sentire”, ovvero percepire la realtà con tutti i sensi, ma anche con il cuore, con il cervello, con l’anima; vuole caparbiamente entrare dentro la testa e dentro la coscienza di chi ha di fronte, penetrare nel suo mondo, nella sua vita, nella sua mentalità (p. 154). E’ così, che il nostro commissario può riuscire a decifrare gli indizi, i segnali che gli occorrono per la risoluzione di un caso, anche del più intricato.”

“Comunque niente paura. Vito non ha ancora ucciso (metaforicamente) la propria creatura, Lombino è “vivo e vegeto” ed anzi lo ritroveremo anche nel prossimo romanzo che è in preparazione: e non potrebbe essere altrimenti, considerato il finale di questo romanzo, che naturalmente non vi racconto, ma che lascia l’amaro in bocca. Come è scritto nella quarta di copertina “questa volta niente sarà come prima”, qualcosa di sconvolgente accade nelle pagine finali, che sorprendono e commuovono, e il lettore capisce che la storia di Lombino non può finire così, qualcos’altro dovrà accadere, probabilmente di drammatico. Insomma, dobbiamo prepararci ad un’altra storia e ad un’altra conclusione, quella che metterà davvero la parola “fine” alla vicenda umana e professionale del nostro commissario.”

“Ma partiamo dal titolo. “Napoli è Centrale” per il commissario Lombino (in questo, come nei precedenti romanzi della saga); essa costituisce lo sfondo imprescindibile di tutti gli intrecci e di tutti i fatti di sangue sui quali il commissario è chiamato a investigare, e la “napoletanità” (nella sua accezione migliore, positiva) è una componente essenziale del suo carattere. Lombino non è napoletano di nascita, ma ha scelto Napoli come sua città ed è diventato parte di essa, Napoli gli è entrata nel cervello e nel cuore.”

“Ma quale Napoli? Le strade, i quartieri, i monumenti e le chiese della nostra città suggeriscono la presenza di almeno due volti: uno più potente, superbo, quasi arrogante, l’altro più umile, semplice, rassegnato: sono queste, in fondo, le due anime del popolo partenopeo e le due chiese del centro storico, il Gesù Nuovo e Santa Chiara, poste quasi una di fronte all’altra, testimoniano appunto questo affascinante dualismo (p. 122).”

“Napoli è innanzitutto la città del cuore: quella della formazione professionale e della crescita personale di Lombino, quella dei suoi affetti più cari, della sua donna MargheritaScarfoglio, (prima fidanzata, poi moglie e ora in attesa di un figlio), pubblico ministero in gamba, impegnata, in questo romanzo in un’indagine delicatissima e anche piuttosto rischiosa. Napoli è la città degli amici veri, del vice-commissario Pasquale Maffettone e della sua splendida sorella Rosaria, che ritorna a Napoli e nella vita del commissario dopo un lungo periodo di assenza; è la città della tata Carmelina, dell’agente Giuliani, della Dott.ssa Errico, della sig.ra Clotilde, di Ciro e Sasà, titolari del bar ai Decumani dove Lombino è di casa: tutti personaggi positivi che abbiamo conosciuto nei precedenti romanzi e che fanno parte del variopinto mondo affettivo del commissario; nel loro insieme rappresentano la Napoli “buona e simpatica”, popolare e borghese, la faccia pulita della nostra città, fatta di persone che lavorano con serietà e dedizione, che ancora credono nei valori familiari e che sono capaci di grandi slanci affettivi.”

“Ma c’è anche un’altra Napoli, in questo romanzo, quella della disoccupazione feroce, delle scuole che non funzionano, dei cittadini che protestano perché non vedono riconosciuti neppure i più elementari diritti (salute, casa, istruzione, lavoro): si sa che a Napoli non funziona niente, cortei e manifestazioni di piazza sono all’ordine del giorno ed è con questa realtà che il vice-questore Lombino (ex commissario) è costretto a misurarsi. Deve occuparsi di ordine pubblico, deve fare i conti con una città in cui nulla funziona, e nulla è come dovrebbe essere: operai licenziati che minacciano di buttarsi giù dai cornicioni dei palazzi, studenti che occupano scuole che cadono a pezzi e dirigenti che non sanno che pesci prendere. Ma il commissario non ne può più di tutto questo, (p. 94). E’ frustrante non poter risolvere queste problematiche: Lombino non ha risposte da dare agli operai, agli studenti, ai presidi, ai disoccupati, meglio stare “in prima linea” e affrontare omicidi e guerre tra clan… almeno in quei casi un colpevole lo si può trovare, qualcuno da sbattere in galera.”

“Lombino vuole dunque tornare ad affrontare la terza Napoli raccontata nel romanzo, quella più oscura e malata, quella irredimibile: la città della malavita organizzata, delle piazze di spaccio, della guerra tra clan camorristici, e in particolare tra i Moffa e gli Imperio: vicende che abbiamo conosciuto nei romanzi precedenti e che ora ritornano in questa storia perché, ahimè, il “passato ritorna” attraverso due suicidi: quelli di Assunta Imperio e di Maddalena Ferrara - rispettivamente madre e moglie del defunto boss Salvatore Imperio - entrambe morte suicide, la prima in carcere, la seconda a casa sua, ed entrambe con accanto un biglietto inquietante chiaramente indirizzato al nostro commissario (p. 5).”

“Ecco i due casi, chiaramente collegati tra di loro, sui quali Lombino dovrà stavolta investigare: non di morti ammazzati, si tratta, ma di due suicidi: eppure il dubbio è forte… le due donne si sono davvero suicidate, o c’è dell’altro? Cosa significail biglietto che entrambe hanno lasciato? Perché è indirizzato al commissario e cosa significa che “non si può sfuggire alla maledizione del sangue”? Innanzitutto c’è un passato che ritorna. Bisogna tornare indietro nel tempo per dipanare la matassa, ai rapporti tra Lombino e Assunta Imperio, alla storia raccontata in Nucleo centrale, il primo romanzo della saga (ed Assunta quando è morta stava leggendo proprio questo libro…).”

“Assunta era una donna d’acciaio, bella e spietata, indurita dal suo vissuto e dal suo essere donna a capo di un clan di camorra. Lombino sa che non esiste una camorra ideale, perché la camorra “è sempre stata violenza e sopraffazione”, ma sa pure che Assunta era legata ad una sorta di codice d’onore, era una donna “ di rispetto”, ed è per questo che con lei Lombino in passato è sceso a patti. (p. 37). Ecco il passato che ritorna.”

“Diverso è il caso di Maddalena Ferrara, moglie innamorata, ma non ricambiata, del boss Salvatore Imperio, estranea all’attività del clan, non implicata in nessuna azione malavitosa. Quindi se appare in qualche modo spiegabile, comprensibile la morte di Assunta, forse voluta dai capi di un clan rivale, meno comprensibile è quella di Maddalena che possiamo definire  “fuori dal giro”…ovviamente non posso dire di più, posso solo aggiungere che c’entra il sangue, “il sangue versato”. Chi è napoletano, dice Lombino parlando con la dott.ssa Errico, sa quanto sia importante per tutti i napoletani “il sangue versato”, più del denaro, più di ogni altra cosa (p. 154).”

“E poi c’è la fisica…poteva mai mancare in questo quinto romanzo, penultimo della saga, la fisica? Ovviamente no. Lombino, come ho già avuto modo di dire in altre occasioni, ha bisogno della fisica come dell’ossigeno per respirare. Stavolta le riflessioni disseminate nelle pieghe del romanzo riguardano l’“infinita controversia tra Bohr e Einstein” sulla realtà (se esista o meno a prescindere dall’osservazione) e riguardano il principio di causalità, messo in crisi dalla fisica quantistica, ma rivendicato con assoluta convinzione dal povero commissario (p. 190). Dunque, per Lombino, “se c’è fumo vuol dire che c’è fuoco” ed è un preciso dovere di uno sbirro essere realisti e cercare di capire, di “capire bene”, di trovare sempre una spiegazione, anche se questa non ci piace e non ci tiene lontano dai guai.”

“Infine la copertina: come al solito è indovinata ed assai eloquente. Abbiamo l’angolo di una facciata di un palazzo di Santa Lucia: la prospettiva è dal basso verso l’alto: cosa notiamo? A prima vista è un bel palazzo signorile, la facciata è “densa”, piena di balconi e finestre, ma non c’è regolarità, non c’è ordine, non c’è simmetria…Vito mi ha spiegato che per lui Napoli è proprio questa: una signora bella, ma di una bellezza irregolare, non convenzionale e, a volte, un po’ malmessa… come dargli torto?”

giovedì 17 marzo 2016